Alcuni cenni storici - DOTT. GIUSEPPE DALLA BONA (1896)
La borgata di Mori possiede un teatro, un monumento che le fa onore e sta a dimostrare come i nostri nonni intuirono il sentimento dell’arte e del bello, in un’epoca molto addietro, quando appena i maggiori e più ricchi centri impiegavano denari nella costruzione di simile opera.
Avevo sempre sentito dire,che il nostro sociale datasse dal principio di questo secolo, che ora sta per tramontare; avevo sempre sentito dire che il Teatro sociale di Rovereto fu costruito nel 1785 e quello di Trento nel 1819; nulla di preciso però, sino a pochi anni addietro, aveva potuto raccogliere sull’epoca precisa, quando furono gittate le fondamenta del nostro sociale.
Nel 1890, in Trento, mi cadde sott’occhio la dotta monografia del Sig. Francesco Ambrosi intitolata “ I tipografi Trentini e le loro edizioni” estratta dall’Archivio Trentino anno IX fasc. II. L’illustre bibliotecario della Comunale di Trento fa ivi cenno fra altro della tipografia di Mori, diretta dai soci Michelini e Tetoldini, che ebbe vita dal 1787 al 1802, ed ove fra le14 edizioni possedute dalla biblioteca comunale di Trento figura pure il Prologo di Gianfrancesco Givanni di Pedemonte, recitato nel 1788, in occasione del riaprirsi del teatro di Mori.
Questa lettura mi rilevò un fatto del tutto nuovo: che a Mori doveva esistere un teatro già nel 1788; anzi prima ancora. Feci ricerche nella biblioteca di Trento e difatti mediante il gentile aiuto del Sign. Ambrosi, rinvenni il prologo del Givanni in versi stampati in Mori. Mi diedi a fare ulteriori indagini, onde rilevare come potesse combinarsi la tradizione locale, che il nostro teatro risalga al principio di questo secolo, col poema, da me rinvenuto sulle tracce dell’opera precitata, e che ammette la preesistenza di un teatro in Mori all’anno 1788. A mezzo di vecchie persone della borgata, e più di tutto colla scorta di un incartamento che rinvenni nell’archivio municipale di Mori sotto il titolo “Protocollo delle scritture, atti ed istrumenti relativi alla fabbrica del Teatro”, giunsi a venirne a capo. Ricavai cioè che il vecchio teatro di Mori, a cui si accenna nella poesia del Givani era costituito da quell’edificio rettangolare dalle finestre ogivali, che sta a mattina dei fabbricati costituenti l’ospitale di Mori, ed è ora aggregato a questi (in Largo Villanuova).
Ricavai inoltre che il teatro attuale (in via Teatro) fu costruito dai soci del vecchio teatro fra il 21 marzo 1802 – nel qual dì fu rogata la scrittura coll’imprenditore della fabbrica da erigersi, Giacomo Antonio Scottini, pubblico perito -, ed il 23 Ottobre 1803, poiché in un atto del 26 dello stesso mese ed anno,si parla di una recita di dilettanti nella sera del giorno anzidetto.
Il suolo fu scorporato da un campo del Sign. Giuseppe de’ Battisti, fondatore della Causa Pia Battisti, e sul contratto di compera fu eretto il documento,27 marzo 1803, ove figurano stipulanti, per conto del venditore,il Sign. Giuseppe Benedetti, procuratore Battisti e per conto della Società teatrale, i soci Giovanni Fiumi, Carlo Tranquillini e Pietro Dalla Bona, a ciò delegati.
Benchè dall’incartamento degli atti di fabbrica del teatro manchi il contratto sociale, pure si desume dal protocollo assunto il 19 giugno 1804, dinnanzi al Vicario di Mori, Isidoro Nob. Salvadori, che il nuovo teatro fu costruito dai componenti la società del teatro vecchio.
Ometto di narrare la cronaca di fatti minuscoli occorsi nelle vicende della società teatrale fra il 1804 ed il 1816; fatti registrati con chiarezza e con minuziosa pedanteria, per cui ogni piccolo avvenimento formava oggetto di una convocazione di soci e relativa sessione.
Annoto invece il fatto più saliente, che con protocollo della Pretura di pace in Mori del 2 luglio 1816 furono scelti quali arbitri i soci Giuliano Maria Chizzola e Pietro Dalla Bona- coll’intervento in caso di discrepanze del Giudice D.r Gio, Batta Pederzani – e fu loro demandato l’incarico “che fossero divise le due Loggie esistenti nel detto Teatro in modo che ogni Socio colla sua famiglia abbia un distinto e determinato luogo in quelle Loggie…..” .Gli arbitri di fatti eseguirono il loro ufficio, e con invito 4 ottobre 1816 citarono tutti i soci a sessione, la quale ebbe luogo il 12 successivo, e nella quale, fra il resto, furono tirati in sorte i posti fissati ad ogni socio, ossia i palchetti.
Ben poco mi fu possibile di raccogliere, circa le produzioni teatrali rappresentate in quegli anni, a noi remoti; solo posso affermare con sicurezza, che per lo più allora recitavano dilettanti, e precisamente i soci stessi del teatro, o loro famigliari. Difatti nel prologo letto dal Givanni nel 1788 si accenna certo a produzioni di dilettanti nel punto, ove questi, non comico di professione, invita i compagni a portarsi al proscenio colle parole; “Uscite, Amici, uscite”
Negli atti poi riflettenti il teatro nuovo, si legge essere state deputate persone per scegliere le commedie, e che qualche signore del paese si era rifiutato “di recitare da donna”.
Solo nell’anno 1804 deve essersi prodotta in scena una compagnia di comici diretta da Giacomo Moggio, poiché il 26 agosto di detto anno, fu steso , con molte formalità e circospezioni, un atto notarile con cui i soci locavano il teatro al predetto impresario, per un corso di rappresentazioni.
Coll’atto di divisione delle loggie si chiude l’incartamento contenente i documenti di fabbrica del teatro attuale.
Mi consta che delle riattazioni e miglioramenti alla fabbrica furono praticati circa all’anno 1836, ma i lavori principali, mercè i quali il teatro fu ridotto nello stato attuale, rimontano appena al 1870. In quell’epoca i palchetti sociali divisi l’uno dall’altro da un’assito alquanto basso, sicchè si potea vedersi e parlarsi da palco a palco, furono chiusi lateralmente in tutta la loro altezza e ridotti in sul modello di quelli esistenti nei teatri sociali di Trento, Rovereto ed altre città.
Anche la sala e il palcoscenico ebbero in detto incontro delle trasformazioni, e tutto l’ambiente fu restaurato, dipinto e decorato a nuovo, compresi gli scenari, che furono totalmente rinnovati.
Se il teatro di Mori è stato ridotto nelle condizioni attuali, da poter esser desiderato in altre borgate anche maggiori, lo si deve oltre che al buon volere dei soci, i quali nel 1870 si assoggettarono a spesa sensibile, pure alla cooperazione di due persone ora defunte, i cui nomi mi trovo in dover di registrare; cioè di Angelo de’Salvadori, uomo intelligente ed amatissimo delle belle arti, e di Antonio Nicolussi, geometra civile, il quale prestò l’opera sua con grande disinteresse e buon gusto artistico.
Facciamo voti che sia mantenuto sempre in ottimo stato questo edificio, atto a ricordare ai posteri, come i nostri maggiori nutrissero sentimenti elevati, e pensassero a dar lustro alla patria coll’erigere un teatro in epoche, in cui appena i maggiori centri davano mano a simili edifici di lusso.
Riproduzione facsimile a cura della Biblioteca comunale di Mori
L’originale è proprietà della Biblioteca civica di Rovereto, segn: 0.11.10.(15))
Tratto da “El Campanò de San Giuseppe “ anno 1992 stampato da “ La Grafica Mori (TN) “
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Monte Albano è stata una zona abitata e frequentata dal periodo del bronzo. Sono state trovate tracce della civiltà del bronzo (1900-1500 a.C.). L'abitato apparteneva alla cultura dei castellieri trentini; l'intera zona era costituita da altre alture, che davano vita ad altri castellieri: quella del Santuario, del Castello e del Doss Mota. A causa dell'aumento della popolazione, l'abitato venne ampliato ai piedi del Monte Albano. Lungo la Valle dell'Adige sorgono i "Pipel", rocce di forma conica, alle quali venivano attribuiti un'anima possente e divina. Accanto a queste pietre sacre sorgevano i villaggi come a Corno presso il Pipel di Tierno e l'abitato di Monte Albano, presso il Pipel di Mori Vecchio.