IL “GHETTO” SUA STORIA E CARATTERISTICHE

Chi, dipartendosi dalla piazzetta Cesare Battisti, si dirige verso il largo Villanuova, inforcando il proseguimento terminale di Via Teatro, fatti pochi passi si imbatte in un’erta e sassosa stradicciola che porta in sommità ad una piccola gibbosità terrazzata, alta 6-7 metri sopra il livello stradale normale. Sulla microscopica altura ha sede un sudicio agglomerato di casupole agresti e mugghianti: ivi trovano asilo diverse famiglie, per la maggior parte contadine.

 

Attingendo alle remote origini storiche, il volgo, questa località, la chiama giustamente “il Ghetto” anche se, in contrasto stridentissimo con la realtà, ufficialmente si nomini pomposamente Via Mirabella.

 

Per la verità, se non qualche riposto fondaco, o farraginoso e scrostato avvolto da rigattiere, o di antico traffcante eterogeneo non vi è più nulla che riguardi la passata presenza degli ebrei: le guerre a ripetizione, e specialmente quella del 1915-’18 hanno demolito tutto e le successive ricostruzioni, improntate su basi cosiddette moderne e rispondenti all’andamento dei tempi ed alle esigenze dei popoli, hanno cancellato il resto.

 

Il sito, comunque, conserva ancora una sua spiccata, dedaleggiante caratteristica che non sfugge ad un osservatore un pochino arguto e indagatore. Case fitte e scure, viottoli fangosi, atmosfera cupa, greve, soffocante quasi. Persino le numerose oche che starnazzavano malvolentieri e gli altri razzolanti volatili sono seri e circospetti. La gente invece è abbastanza vivace e ciarliera e, almeno esteriormente, sembra contenta ed affabile anche se non manca di un certo cinismo.

 

Una volta, il rione era il piccolo regno di un gruppo di ebrei della più pura razza, maestri nel trafficare, capitati chissà da dove. Essi posero costì la loro dimora presumibilmente prima del 1200.

 

A quei tempi a Mori i commerci erano molto sviluppati e favoriti dal fatto che la borgata si trovava sulla via più facile e breve tra l’Adige e il Garda, nel 1188 Morfino del fu Rambaldo ed altri paesani furono investiti dal Vescovo di Trento della navigazione sull’Adige fino a Bolzano; il che, è innegabile, contribuì a rafforzare il prestigio ed il movimento dell’antico porto, il quale aveva i moli e le banchine d’attracco ubicate nei pressi di Rivazzone (oggi Ravazzone).

 

Questo complesso di fattori fu certamente determi- nante: Mori divenne uno scalo di smistamento e sbarco molto importante e frequentatissimo altresì dalle ciurme di passaggio sul fiume e dai carrettieri e trasportatori terrestri diretti o provenienti dal Garda. Ciò, è ovvio, assicurò notevoli possibilità di guadagno alla popolazione che dai soli campi poteva trarre ben gramo sostentamento. In un posto così nevralgico e redditizio, la calata degli ebrei non poteva non avvenire. Si sa come i continuamente perseguitati discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe, nel commercio siano degli autentici scaltri volponi. Essi non trovarono quindi soverchie difficoltà per fare degli ottimi affari e vistosi guadagni.

 

Cosicché anche gli indigeni trascorsero parecchi secoli di prospera floridezza.

 

Molto probabilmente gli ebrei non furono cacciati a furor di popolo come si potrebbe, in un primo tempo, essere tentati a credere. Più verosimilmente essi abbandonarono spontaneamente il loro quartiere allorché Mori perse gran parte delle sue possibilità economiche in seguito al progressivo decadimento della navigazione fluviale e lacustre; decadimento inevitabile per il continuo evolversi delle comunicazioni stradali.

 

Dietro Israele, anche a distanza di tempo, non è rimasto che un nome: “il Ghetto” ... ed il tempo galantuomo ha cancellato tutto: cose buone e cattive, fatti e misfatti.

 

Per completare le notizie di G. Boninsegna, accenniamo brevemente alla difficile coabitazione degli abitanti di Mori con la colonia ebrea del “ghetto”. In occasione della visita pastorale del 1581, una rappresentanza di moriani si presentò davanti ai delegati vescovili per denunciare quanto segue: “gli ebrei non rispettavano il divieto di rimanere nelle loro case dopo il coprifuoco, non portavano il distintivo di riconoscimento, erano ritenuti “colpevoli di tutti i furti finora perpetrati in Val Lagarina”, di adescare le ragazze e corrompere i “cristiani” trattenendoli in bische clandestine, ove erano abilissimi a “spennare” i malcapitati che accettavano di giocare d’azzardo. Il personaggio più autorevole della comunità ebrea di Mori, di nome Leone, fu citato a comparire innanzi ai delegati vescovili per verificare se le accuse mosse alla sua comunità fossero fondate. Ovviamente, Leone negò ogni addebito e circa la mancata ostensione del distintivo, obiettò che si trattava di una scelta obbligata, per evitare di essere aggrediti: in passato, suo fratello era stato ucciso per il solo fatto di recare quel contrassegno. Ciononostante, fu imposto di indossare il distintivo, pena il pagamento di 10 ragnesi di multa.