Antonio Mayer nacque a Mori nel 1862 in una famiglia di modeste condizioni, fatto comune in quel tempo. Conclusa la scuola dell’obbligo sotto la guida di un emerito sacerdote, don Caproni, fu avviato agli studi di pittura presso l’Accademia di Brera a Milano, guadagnandosi, alla fine degli studi, una medaglia d’argento per il profitto. Tornato a Mori, dopo qualche anno, sposò Alice Luzzato dalla quale ebbe un figlio, Luigi. Poco dopo si trasferì in Lombardia, a Milano, patria di artisti, dove ebbe l’occasione di conoscere pittori di grande fama.
Iniziò la sua carriera come ritrattista. Scrive in proposito un giornale milanese dell’epoca: “Dei molteplici ritratti che il Mayer ha dipinto a Milano e nel Trentino ve ne sono alcuni pregevolissimi per fattura, intonazione e perfetta rassomiglianza, eseguiti con rara sicurezza di tocco e di modellazione. I clienti, meravigliati della bellezza dell’opera di cui diventavano possessori, raddoppiavano la modesta somma che egli chiedeva quale compenso del suo lavoro”.
Oltre ad essere un valente ritrattista, si distinse nell’arte degli affreschi, suo lavoro preferito. Scrive ancora il quotidiano milanese: “Profondo conoscitore della tecnica di dipingere sugli intonaci appena stesi, era veramente maestro di questo meraviglioso processo di cui l’Italia porta la palma nel mondo. Eseguiva i suoi affreschi con la stessa spontaneità, freschezza e colorito dei suoi acquerelli, emulando, specie nelle parti decorative, i grandi maestri del Quattrocento, delle cui opere sapeva eseguire mirabili restauri”.
La sua maggior attenzione e professionalità la riversava nell’arte sacra. Nella decorazione degli interni delle chiese sapeva unire il suo animo di pittore al cervello dell’architetto. Profondo conoscitore degli stili curava scrupolosamente l’assieme e i particolari. Le linee architettoniche, la sobrietà delle decorazioni, la sapiente intonazione degli sfondi e delle medaglie formavano dei complessi armonici e sereni di cui rimangono esempi luminosi le chiese. Ne citiamo alcune: quella di Soncino, di Marchirolo, di Trovato e di Castel Butano in Lombardia; e le chiese di Mori, Avio, Castione, Tierno, Montalbano e tante altre nel Trentino. Purtroppo i pregevoli affreschi che decoravano le chiese di Tierno e Montalbano sono stati cancellati con i lavori di restauro effettuati dopo il primo conflitto mondiale.
Nel 1919 Mons. Germano Rossi gli affidò l’incarico di affrescare la volta della chiesa di S. Stefano che le bombe, di ambo le parti in conflitto, avevano gravemente danneggiata insieme con preziosi stucchi barocchi di pregevole fattura. In precedenza aveva dipinto la facciata del palazzo quattrocentesco della canonica di Mori, opera ammirata in tutto il basso Trentino, come pure si era impegnato nella decorazione della casetta veneziana di proprietà della famiglia Fiumi, ora casa Magagnotti. Da questa casa, su invito del Vescovo Carlo Valussi, tolse l’affresco dipinto intorno al 1400 rappresentante la Vergine e due Santi. Opera che ora si può ammirare presso il Museo Diocesano. Il suo capolavoro si può considerare la pala di S. Giuseppe nella chiesa di S. Marco a Rovereto, con la quale intese riprodurre il dipinto di Michelangelo Grigoletti di Venezia, pressoché distrutto dalla guerra. Sempre in S. Marco si dedicò al restauro degli affreschi, opera del Cavedaghi, i quali avevano subito, sempre a causa della guerra, notevoli guasti.
Ancora a Rovereto, su consiglio del grande amico Augusto Suzanne, affrescò il palazzo della Cassa di Risparmio in piazza Rosmini (già proprietà dei conti d’Arco), come pure la facciata del Municipio. A Trento, fra tanti altri lavori, restaurò gli affreschi di Casa Rella in piazza Duomo e le pitture di casa Cazuffi in via Oss Mazzurana. Per la sua professionalità e competenza fu chiamato dalla Curia Vescovile quale membro della Commissione Diocesana d’arte sacra per la conservazione dei monumenti di valore artistico; come pure fu membro dell’Opera Nazionale per la conservazione e restaurazione dei monumenti dell’arte nazionale. La sua popolartà di artista non ha avuto confini. Le commesse arrivavano da ogni parte d’Italia e dal vicino Tirolo. Ultimi suoi lavori furono il restauro di tre importantissime tele: il S. Vigilio del roveretano Domenico Udine (dono di Antonio Rosmini alla città), il S. Antonio di Gasparantonio Baroni Cavalcabò, e il S. Gerolamo del Brusasorci. Molti altri dipinti e affreschi si trovano in Alto Adige, specialmente nei castelli della Val Venosta e, oltr’Alpe, a Innsbruck. Confidava agli amici: “Vorrei vivere per oltre un secolo per continuare il mio lavoro che sento dentro di me. Ma la morte lo sorprese la vigilia di Natale del 1921; colto da infarto, si spegneva nella sua casa a Rovereto in Piazza Erbe. Sul giornale locale Il nuovo Trentino, al 27 dicembre in cronaca di Rovereto, si legge: “Dopo aver conversato piacevolmente con parenti e amici fino alle 11 pomeridiane della vigilia di Natale, coricatosi, improvvisamente nella notte si spegneva questa magnifica tempra di lavoratore e d’artista a soli 59 anni. Un lutto irreparabile per la città di Rovereto e per il Trentino. E ancora: “La parrocchia di S. Marco non può sciogliere il suo tributo di ammirazione e di gratitudine innanzi alla salma di questo vero artista, che tanto avrebbe desiderato onorare vivente. E nessuno di quelli che lo conobbero potrà dimenticare l’uomo onesto fino allo scrupolo, il pittore modesto fino all’esagerazione, il lavoratore coscienzioso e instancabile, l’ottimo e disinteressato consigliere, in una parola l’anima mite, affettuosa, a tutti benevola di colui che si spense quasi nell’indigenza pel suo disinteresse a tutta prova e la sua umiltà singolare. Un altro giornale trentino dell’epoca La libertà il 29 dicembre in cronaca di Villalagarina scrive: Ai nostri giorni l’arte della pittura era in Rovereto specialmente rappresentata dal Prof. Antonio Mayer, pittore conosciuto come abile ritrattista e pur come abilissimo riparatore e restauratore di vecchi dipinti e di antichi affreschi. Il giorno di Natale la cittadinanza fu contristata dall’improvvisa notizia della morte che lo aveva furtivamente e fulmineamente rapito.
Da Mori, suo paese natale, nessun cenno. La storia ancora una volta si ripete. Della famiglia Mayer non abbiamo al presente più notizie. Per averne dobbiamo risalire agli anni trenta (questo per i più anziani) per coloro che hanno conosciuto la nipote dell’artista. Chi non ricorda l’eccentrica maestra Mayer, pettinatura anni venti, viso reso diafano dalla cipria da cui spiccavano le labbra rosse e carnose?
Giacomo Martinelli, Mori e la sua Gente, n. 38 2001
...LO SAPEVI CHE?
Monte Albano è stata una zona abitata e frequentata dal periodo del bronzo. Sono state trovate tracce della civiltà del bronzo (1900-1500 a.C.). L'abitato apparteneva alla cultura dei castellieri trentini; l'intera zona era costituita da altre alture, che davano vita ad altri castellieri: quella del Santuario, del Castello e del Doss Mota. A causa dell'aumento della popolazione, l'abitato venne ampliato ai piedi del Monte Albano. Lungo la Valle dell'Adige sorgono i "Pipel", rocce di forma conica, alle quali venivano attribuiti un'anima possente e divina. Accanto a queste pietre sacre sorgevano i villaggi come a Corno presso il Pipel di Tierno e l'abitato di Monte Albano, presso il Pipel di Mori Vecchio.